Il Presidio del 7 ottobre per la libertà sindacale
Il prossimo 7 ottobre i rappresentanti di alcune associazioni sindacali già costituite saranno a Roma in Piazza di Monte Citorio, per chiedere il rispetto della sentenza n. 120/2018 della Corte costituzionale che ha sancito per i militari il diritto di riconoscimento delle associazioni professionali a carattere sindacale.
In una nota le sigle sindacali partecipanti (Sinafi, Silf, Usaf, Saf, Libera Rappresentanza, Ncs, Siam, Silme, Usmia e Usic) hanno motivato le ragioni del Presidio: sensibilizzare i Senatori a ripensare e modificare il Disegno di Legge “Corda” in esame al Senato.
Un presidio legittimo
Il S.A.F. – Sindacato Autonomo dei Finanzieri , al pari delle altre sigle sindacali, ha chiarito che NON SARÀ ESERCITATA ALCUNA FORMA DI SCIOPERO, espressamente vietata dall’art. 1475 del Codice di Ordinamento Militare.
Al di là del pregiudizio all’esercizio del diritto di sciopero previsto dall’articolo 1475 del C.O.M., per quanto riguarda il diritto di riunione, all’articolo 1470 del Codice permane fuori dai luoghi militari o di servizio, il divieto di assemblee o adunanze di militari che si qualificano esplicitamente come tali o che sono in uniforme.
Si vuole qui escludere qualsiasi forma di strumentalizzazione e limitazione del diritto di riunione tra militari, quanto meno appartenenti alle associazioni sindacali, come espressamente previsto dalle norme di diritto internazionale, dalla Costituzione Italiana e nella stessa pronuncia della Consulta.
Il diritto di riunione sancito dalla Corte Costituzionale
Nella sentenza n. 120/2018, la Corte costituzionale, oltre ad affermare il diritto di riconoscimento delle associazioni professionali a carattere sindacale, ha indicato il parametro interposto costituito dall’art. 11 della CEDU, la cui rubrica reca «Libertà di riunione e di associazione».
Il diritto di associazione sindacale è, pertanto, correlato a quello di riunione – previsto nello stesso Disegno di Legge messo in discussione (Articolo 10) – in luoghi aperti al pubblico e senza l’uso dell’uniforme.
La decisione della Consulta, già desumibile dall’interpretazione delle norme costituzionali pertinenti ai diritti sindacali e alle funzioni dei militari, si è resa necessaria in relazione agli interventi giurisprudenziali della Corte europea dei diritti dell’uomo a proposito dell’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sulla “libertà di riunione ed associazione”, in combinato disposto con l’art. 14 relativo al principio di non discriminazione.
La Corte costituzionale ha ravvisato un vulnus dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, circa il rispetto delle leggi e degli impegni internazionali, avendo assunto il richiamato art. 11 della CEDU quale parametro di costituzionalità.
Il diritto internazionale
L’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, premesso che “ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione”, ammette che “l’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate” possa essere sottoposto a “restrizioni legittime”, locuzione nella cui area semantica, per quanto ampiamente considerata, non può farsi rientrare la radicale preclusione.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea stabilisce, all’art. 12, che “ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico”, senza accennare neppure a possibili forme di limitazione per specifiche categorie di soggetti.
Analoga statuizione incondizionata si legge nell’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, a tenore del quale “ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica”.
Infine, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, all’art. 22, ammette che il “diritto alla libertà di associazione”, riconosciuto ad ogni “individuo”, possa essere oggetto, per quanto attiene ai “membri delle forze armate”, di “restrizioni legali”, non già, dunque, di una radicale esclusione.
Le norme convenzionali sovra ordinate alla legge ordinaria
L’Italia ha aderito alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell\’uomo e delle libertà fondamentali, la c.d. Convenzione di Roma del 1950, assumendo l’obbligo di conciliazione del proprio diritto interno alla stessa Convenzione.
Detto obbligo deriva dall’articolo 1, che declama: “Le Alte Parti contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti al titolo primo della presente Convenzione”.
Con la Legge 4 agosto 1955 n. 848 la Convenzione di Roma è stata inserita nell’ordinamento interno, per cui le norme della Convenzione hanno assunto valore di legge ordinaria.
La Corte costituzionale nella sentenza n. 348/2007 ha qualificato la norma convenzionale quale “norma interposta” tra Costituzione e legge, in cui sono ricomprese le Sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, come chiarito dalla stessa Corte, cui gli Stati aderenti devono conformare il proprio ordinamento.
La legittimità del Presidio del 7 ottobre
Il diritto di riunione dei militari, quanto meno nell’espressione dell’esercizio dell’azione sindacale, non può essere precluso dalle disposizioni del Codice dell’Ordinamento Militare.
I limiti e le ingerenze che possono essere imposti dagli Stati attraverso l’emanazione di norme interne non devono essere sproporzionate al diritto della libertà di riunione e di associazione.
Lo Stato italiano deve, anzi, conformare il proprio ordinamento alle norme convenzionali, principio sancito dalla stessa Sentenza della Corte Costituzionale.
La legittimità del Presidio del 7 ottobre in Piazza Montecitorio non può essere messa in discussione.
Fabio Perrotta (Segretario Provinciale Genova)